Privi di compassione

Sono ottocento in fondo al mare, lo hanno confermato i telegiornali. I più poveri di loro sono racchiusi nella nave della speranza, diventata la loro bara; altri hanno come sudario il Mediterraneo, finché i loro corpi non si disferanno senza nome, senza storia, mentre qualcuno, lontano, continuerà a chiamarli nella notte, e a piangere le loro brevi vite divorate dal nulla.
Non sono solo ottocento, sono decine di migliaia; il numero non lo sapremo mai, forse diventeranno milioni. Un giorno qualcuno celebrerà il loro olocausto? Il loro essere desaparecidos? Spariti, inghiottiti, oppure trovati e seppelliti senza nome in un cimitero straniero: qualcuno li ricorderà in questo suolo in cui speravano di trovare la pace? La vita?
Ascolto i discorsi della gente, i loro umori: non c’è posto, o quasi, per questa umanità perduta. Ancor meno c’è posto nel cuore della gente per quelli che hanno la ‘colpa’ di essersi salvati e di aver ora bisogno di tutto.
Sento freddo, tanto freddo intorno a me, quando non sento odio, disprezzo, o come minimo indifferenza, seppur qualche volta patinata di un commento pietistico che dura solo secondi. Dimenticare, perché non sono nostri. Non vedere, perché sono scomodi. Non dire. Sì, anch’io spesso non dico, non ne parlo, e così forse altri come me. Chi li pensa, ha paura a parlare: paura di soffrire.
Io ho paura di soffrire perché ho paura di avvertire le mie parole suonare in una stanza vuota, dove nessuno c’è a rispondere, a capire, a piangere con me. Ho paura di quel “sì, poverini ma…” Quel “ma” che significa tante cose: dal “come facciamo” al “in fondo, chi se ne frega”. Sbaglio, lo so, a tacere: è codardia, ed è anche disperazione. La mia è la disperazione di appartenere ad un mondo che non mi appartiene, e da cui però non posso neppure uscire, perché anch’io sono dalla parte di chi né patisce la fame, né vive con l’angoscia che un ordigno o una pallottola metta fine ai suoi giorni.
Ripensando alle immagini dei telegiornali, ricordo anche i corpi vivi tirati in salvo su una scialuppa da braccia robuste e sicure, quei corpi scuri di ragazzi, inzuppati d’acqua, fragili e nudi, completamente nudi. Loro mi sono sembrati i veri poveri, i veri ultimi, più poveri dei nostri poveri, più ultimi dei nostri ultimi. Perché anche loro non dovrebbero essere nostri? Quando c’è un terremoto qui in Italia, tutti si commuovono, tutti stanno incollati al televisore, tutti mandano aiuti, tutti sentono quel dolore come il loro. Perché per questi no?
Penso anche a quelle braccia robuste che li hanno presi, così, senza vestiti, senza nulla, annichiliti dalla paura, dallo spasimo del vedere la morte in faccia, attaccati a quell’ultimo guizzo di vita, a un salvagente, a una presenza, ad una nave in lontananza che arriva, e distrutti dai compagni o parenti che hanno visto morire.
Chi li raccoglie in mare ha lacrime per loro, si sente dilaniato dal ricordo delle mani che gli sono scivolate nell’abisso, magari quelle di un bambino. Chi li raccoglie in mare ha compassione.
Bisogna vederlo dal vivo il dolore? Bisogna esserci a sentire le grida? Bisogna esserci a vedere che sono come noi? Forse è questo il problema: la maggior parte non crede che siano esseri umani uguali a noi, che come noi hanno una storia, degli affetti, dei desideri, delle speranze, la paura e, più di noi, il coraggio.
Cosa strana la compassione: dovrebbe essere universale, per ogni vita, per ogni essere di questa terra, e forse anche oltre, e invece diventa selettiva, un’ubriacatura di emozioni a compartimenti stagni, e per il resto nulla. Emerge l’incapacità a immedesimarsi nei diversi per nazionalità, colore della pelle, credenze, abitudini. Per questi la maggioranza è priva di compassione.
Poi c’è il timore che i profughi vengano a stravolgere le nostre sicurezze, che occorra condividere qualcosa con loro, che ci rubino un po’ del nostro benessere, oggi avvertito sempre più scarso. Alla compassione dovrebbe aggiungersi la consapevolezza che non ci può essere alcuna sicurezza, né felicità, in un mondo dove solo una piccola parte dell’umanità ha diritto a sopravvivere.

Un’iniziativa da segnalare: http://www.moas.eu/it/who-we-are/

Privi di compassioneultima modifica: 2015-05-10T07:59:25+02:00da nadia2012a
Reposta per primo quest’articolo
Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria. Contrassegna il permalink.