Terrore islamico e dialogo fra civiltà

Le notizie che giungono dall’est e dal sud del Mediterraneo mi turbano ogni giorno di più, s’insinuano nella mia quotidianità, mi lasciano attonita. Ciò che sta accadendo è difficile da cogliere anche per me che mi sforzo di informarmi e riflettere; ho sempre la sensazione che il puzzle non riesco a completarlo perché mi mancano pezzi importanti.

Nei primi mesi delle primavere arabe ho visto l’anelito alla libertà, alla democrazia, al laicismo, all’emancipazione femminile… poi, allo sbocciare dei primi fiori, nubi scure si sono addensate e pioggia fredda ha disperso ogni petalo. Dove è andata meglio, nel senso che in questo momento non si combatte, sono al potere o i militari, come in Egitto, o partiti legati ad una visione religiosa conservatrice. Altrove è il caos, l’irrompere di gruppi, bande che vogliono il potere, i signori della guerra, oppure che credono che l’unica risposta alle ingiustizie dell’Occidente sia l’odio indiscriminato e la vendetta, e che contrappongono all’islamofobia, la ferocia nei confronti dei loro stessi fratelli cristiani, e non solo. E lì la fede diventa nuovamente, come diceva Marx, “oppio dei popoli”.

La maggior parte dei mass media non spiegano che i fatti giorno per giorno, o almeno alcuni fatti, ma io vorrei che spiegassero, per esempio, come siamo arrivati a questo punto in Siria, in Iraq, come è sorta l’Isis, e soprattutto come possiamo fermarne il proselitismo. Vorrei che fossero ricordate le responsabilità dei paesi occidentali, incapaci di politiche lungimiranti, e la loro non volontà di usare gli stessi pesi e le stesse misure per tutte quelle nazioni che si macchiano di crimini di guerra, lasciando sempre impunito Israele.

Confesso che ho paura per quello che sta accadendo, paura anche per i tanti musulmani che sono in Europa: non solo di quei pochi spietati e fanatici che potrebbero portare il terrore sotto la porta di casa, magari suicidandosi a vent’anni o meno, per una causa che qualcuno ha fatto loro credere giusta, ma per quelli che nei nostri paesi sono venuti pieni di speranza per dare un futuro ai loro figli.

La fobia del diverso, del possibile “untore” sta correndo al galoppo nelle nostre comunità e si muove come un ordigno a orologeria nelle menti e nei cuori. Parole che ho ascoltato, come: “buttiamo una bomba atomica su tutti gli arabi” non sono solo stupidità dette da persone ignoranti (e l’ignoranza non corrisponde sempre al titolo di studio), ma sono il sintomo eclatante di ciò che si muove nella psiche collettiva, e il radicalizzarsi delle contrapposizioni è proprio ciò che ci può portare allo scontro totale di civiltà, o forse sarebbe meglio dire inciviltà, come scrive nel suo libro Benali Nacéra a proposito dei pregiudizi reciproci.

Oltre a inchieste più approfondite su cause, interconnessioni, responsabilità, dall’informazione vorrei fosse fatta più luce sulle migliaia di persone che non stanno perdendo il senso dell’umanità, il rispetto dell’altro, l’amore per la giustizia, la voglia di lottare, la voglia di cercare verità più ampie, di emanciparsi da oscurantismi, mediorientali o occidentali che siano. Abbiamo bisogno di esempi, di simboli, di poter vedere figure di riferimento anche negli altri popoli, tra i credenti di altre religioni, per poter unire gli sforzi di tutti, di tutti gli uomini e le donne che non sono preda del fanatismo inculcato a fini politici, o di pregiudizi medioevali da crociati, che non sono immischiati con poteri e lobby, che riconoscono che l’umanità è una e che senza dialogo si suiciderà.  Di tutto questo oggi abbiamo necessità assoluta, prima che nel cuore dei più ci sia solo posto per la paura, per la voglia di chiudersi, di difendersi, per vedere nell’altro solo il mostro… per la guerra.

Per questo mi sono messa a cercare su internet notizie riguardanti persone, nel mondo islamico, che hanno assunto pubblicamente, e talora a loro grave rischio e pericolo, la difesa delle minoranze, dei diritti umani, di una società multireligiosa e multietnica (quale è sempre stata in Siria per esempio), per opporsi e resistere a quello che forse potremmo definire “fascismo o nazismo islamico”, pur consapevoli che i parallelismi nella storia valgono poco e talvolta sono fuorvianti.

Ho trovato un video e le foto della giornalista Dalia AlAqidi, dipendente dell’emittente irachena Sumaria, che con coraggio si è messa una croce al collo e si è scagliata in tv contro il “fascismo politico islamista”; “colui che tace sulla giustizia è un diavolo muto”, ha detto la donna. Agli estremisti che l’accusano di essere  “infedele”,  AlAqidi ha replicato che si è messa la croce al collo proprio per difendere “il pluralismo religioso che ha fatto dell’Iraq la culla della civiltà”. La giornalista ha affermato che l’islam è “una religione della tolleranza”, e perciò ha accusato i suoi detrattori  di non essere veri credenti. “Siete voi gli apostati” ha detto, “mentre io sono un semplice essere umano che difende i diritti dei figli del proprio paese, qualunque sia la loro identità; il fascismo politico islamista ha indotto i musulmani moderati come me a vergognarsi della loro religione”. Se è vero che “la paura ha ridotto molti al silenzio”, ha aggiunto “io non starò zitta davanti a questa ingiustizia”. La donna ha poi invitato a seguire la sua iniziativa, che “è rivolta a tutti, contro chiunque tenti di cancellare la civiltà”.

La collega Dima Sadeq, della rete libanese si è presentata in tv con stampata sulla t-shirt la lettera araba  corrispondente alla “N” iniziale della parola “nazareni” con cui sono state marchiate le case dei cristiani nella città di Mosul. Sadeq ha detto: “Da Mosul a Beirut, siamo tutti cristiani”.

A Mosul i guerriglieri dell’Isis hanno ucciso, secondo l’ONU, tra il 12 e il 14 giugno, sedici ulema (teologi) sunniti di una confraternita sufi (i sufi appartengono alla corrente mistica dell’islam). Alcuni di loro sono stati uccisi ancora prima che venissero emanati gli editti contro i cristiani perché si erano opposti all’interpretazione dell’islam seguita dai terroristi.

Sono grata al “Corriere della Sera” che il 14 agosto ha riportato sul suo sito molte delle prese di posizione di autorità e studiosi dell’islam. Ne cito alcuni e riporto le loro parole: il professore di Al Azhar Mohammad Al Gossi, sul quotidiano egiziano Al Ahram ha scritto: “La minaccia dell’Isis è visibile nelle sofferenze di donne e bambini delle minoranze religiose, ma anche di musulmani sia sciiti che sunniti, assassinati per la sola colpa di pensarla diversamente o di non obbedire ai folli disegni dei jihadisti”; lo sceicco saudita Issa Al-Ghaith, membro del Consiglio Shura, ha invitato i giovani “a dire no al terrorismo sui social network, scrivendo lettere ai giornali, sms, commenti nei siti e nei loro blog”. Il Mufti dell’Egitto, Shawki Allam, che rappresenta la visione di Al Azhar, la più importante istituzione dell’Islam sunnita, ha condannato l’Isis definendola “un pericolo per l’islam”, e aggiungendo: “chiedo ai media di non chiamarla Stato Islamico, perché le loro azioni sono contrarie ai valori dell’islam. Questi criminali compiono atti sanguinari contro donne e bambini, in contrasto con gli insegnamenti del nostro profeta”.

Ho riportato tali fatti e citazioni proprio perché credo che l’unico modo per contrastare la barbarie a cui stiamo assistendo, sia dialogare e unire le forze di tutti coloro che aborriscono le violenze inaudite che ricordano i tempi più atroci e oscuri della storia recente e passata.

Siamo in un momento di grande oscurità e pericolo per la pace e il senso stesso di umanità, ma io voglio sperare che proprio il manifestarsi così atroce dell’estremismo possa indurre ad un profondo ripensamento sia l’occidente sia il mondo islamico. Ricordo a tal proposito le parole di Abdelwahab Medded, docente di letteratura comparata all’Università di Paris X-Nanterre e autore dell’interessantissimo saggio “La malattia dell’Islam”. Sintetizzando il suo profondo pensiero, posso dire che se l’islam si ammala, guarirlo deve essere il compito urgente che deve interessare tanto l’umanità islamica, quanto l’umanità europea e americana. Se l’islam si trasforma in un problema, questo deve essere affrontato da ogni essere umano in quanto è la seconda religione nel mondo. E’ nella lotta comune contro fondamentalismo e dittature che può essere pensata la solidarietà occidentale e musulmana. Occorre fare una politica che sia in grado di stabilire un rapporto di fiducia, e tale fiducia non può esserci se non come risultato dell’applicazione della giustizia.

Terrore islamico e dialogo fra civiltàultima modifica: 2014-08-30T16:27:37+02:00da nadia2012a
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