La prima neve

“Le cose che hanno lo stesso odore devono stare insieme” dice l’anziano e saggio Pietro nel nuovo film di Andrea Segre. A “stare insieme” però sono persone di origine e cultura diversissime: una famiglia trentina che abita fra alte montagne e magici boschi, in un’isolata valle dove si parla ancora un antichissimo dialetto germanico; un giovane uomo, originario del Togo, costretto a fuggire dalla guerra civile libica, vedovo da poco, con una bambina che non riesce a guardare perché il suo volto gli ricorda troppo quello della madre.

La famiglia trentina è attraversata da un dolore altrettanto distruttivo: la morte del padre di Michele, un ragazzo di otto anni che reagisce a questo trauma con la ribellione. Tra questi personaggi lentamente, fra lunghi silenzi o parole ridotte all’essenziale, si instaura un dialogo, grazie alla presenza del vecchio boscaiolo che conosce le ferite dell’anima e intuisce una loro possibilità di rielaborazione.

Le differenze culturali, non sopite, sono accettate rispettando la libertà di scelta, e i protagonisti trovano un punto di contatto proprio nei sentimenti. Michele non accetta la madre, che ritiene, nelle sue fantasie di bambino, colpevole della morte del padre; Dani, il giovane venuto dall’Africa, vorrebbe abbandonare la figlia convinto di non avere nulla da darle.

Solo quando, in entrambi i casi, il dolore comincia ad essere raccontato, si scopre che ha lo stesso odore, indipendentemente dalle differenze che vi sono tra le persone, e allora le scelte cambiano perché le affinità uniscono e permettono a tutti di avere ancora la possibilità di continuare a vivere aiutandosi reciprocamente.

Mi colpisce in Segre la capacità di esplorare il dolore nei suoi meandri più duri, insidiosi, e nello stesso tempo di dare delle risposte, delle speranze, mostrare delle luci proprio attraverso la condivisione.

La rielaborazione del dolore ha però per nemici una società competitiva dove l’infelicità è fallimento e, perfino quanto non c’è nessuna responsabilità da parte di chi ne è colpito, non va mostrata troppo e superata al più presto. Le sono nemiche il chiacchiericcio insulso, la vita frenetica che non lascia spazio all’interiorità, le ricette facili. Condivisione e rielaborazione hanno bisogno di tempi lunghi, tanto silenzio, gesti semplici e parole che nascono dal profondo, pronunciate in ‘punta di piedi’; hanno bisogno di lasciar spazio al pianto sommesso, al vero rispetto, al non voler cambiare o adeguare l’altro. Il dolore, inoltre, ha bisogno della bellezza e del mistero della natura, dove vita e morte si incontrano, dove gli immensi spazi diventano una foresta di simboli che parlano all’animo inquieto e sofferente.

La prima neveultima modifica: 2014-02-06T18:23:28+01:00da nadia2012a
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