Clave, parole e…narcisismo

 La parola è ciò che ci rende diversi dagli animali, che ci permette una comunicazione, rispetto ad essi, più fine, più complessa, e inoltre ci permette di riflettere su di noi, sugli altri, su ciò che facciamo, sul bene e sul male, sul mondo che ci circonda e che contribuiamo a costruire o distruggere. La parola ha permesso a noi, fra i più deboli esseri viventi del pianeta, di stare insieme, lottare insieme per la sopravvivenza, creare la società e la cultura, fare memoria e trasmettere l’esperienza della specie alle future generazioni. La parola ha sviluppato la nostra intelligenza, la nostra coscienza di esistere e anche la capacità di consolare, insieme alla mano che per la prima volta ha afferrato un oggetto o ha accarezzato un volto; ha permesso di dare un nome alle nostre emozioni e di riflettere su di esse. Con le parole si possono trasmettere idee e sogni, spiegare le proprie ragioni, mostrare le proprie ferite, indignarsi per l’ingiustizia, per l’offesa subita nei confronti di se stessi o dei propri valori, si può essere testimoni dei diritti calpestati e lottare per il loro rispetto.

Le parole, però, possono anche distruggere l’altro, renderlo non umano, mostrare solo la propria arroganza, la convinzione totalitaria di essere nel giusto qualsiasi cosa si pensi. Ci sono parole che chiudono ogni confronto, che zittiscono l’interlocutore, che veicolano pregiudizi, etichettano negativamente, annientano, uccidono dentro, e tante volte nella storia tutto questo è stato preludio all’imposizione di sé e del proprio gruppo identitario, alla violenza fisica, alle  persecuzioni, alle stragi, alle guerre. La rabbia, anche quando è motivata, non deve colpire l’essere umano che è l’altro, ma l’ingiustizia che si ritiene lui stia permettendo e legittimando, tanto più se questo avviene all’interno di istituzioni che, pur con tutti i limiti che hanno a causa delle nefandezze commesse in questi ultimi decenni, permettono ancora di avere strumenti per difendere la democrazia.

Oggi, nella patologia del nostro sistema politico, sembra talvolta non esserci più posto per la parola ( che a volte viene negata), e neppure per la parola non-violenta, e questo significa che non c’è più posto per l’ascolto delle ragioni  dell’altro, e perciò per il dialogo costruttivo. Pericle, nell’antica Grecia, diceva: “Noi ateniesi ponderiamo convenientemente le varie questioni, senza pensare che il discutere sia un danno per l’agire, ma che lo sia piuttosto il non essere informati dalle discussioni prima di entrare in azione…”. Discutere appunto, non usare il linguaggio come una clava, o per far tacere o per scaricare addosso alla parte avversa le proprie frustrazioni o la convinzione, sempre errata, di essere gli unici portatori della verità. Indignarsi sì, indignarsi è giusto di fronte ai giochi di potere, alla corruzione, ma trovando dentro si sé quello spazio di saggezza che permetta di pronunciare parole che non siano sassi scagliati con l’obiettivo solo di demolire, ma pietre e mattoni per indicare strade, costruire ponti, o, se è necessario, affermare con dignità la propria disobbedienza, la propria non accettazione del sopruso, ma restando umani e riconoscendo l’altro come tale, evitando sommarie generalizzazioni. Mostrare l’ingiustizia, la sofferenza che ne consegue, con tutto se stessi, con sacrificio, ma in modo non-violento: lo hanno fatto persone come Gandhi, Nelson Mandela, e altri ancora, e non solo hanno vinto, ma sono diventati dei modelli per l’umanità. Purtroppo di questi esseri umani la storia ne ha visto pochi. Per poter diventare, non dico simili a loro, ma almeno cominciare ad andare nella loro direzione, c’è un grande ostacolo, che è alla base di tutti i conflitti violenti: il narcisismo.

A tal proposito, cito le frasi riportate dal giornalista Corrado Augias in un suo recente articolo, pronunciate dallo psicologo Nicola Artico: “Ho visto giovani deputati fronteggiare con il proprio viso quello di un altro come lupi di rango superiore, ho letto insulti di un sessismo arcaico nutrito da pulsioni mai sopite, ho riconosciuto un noto cluster diagnostico: il narcisismo. Non voglio fare una diagnosi a distanza, ma il tema del narcisismo, clinicamente, evoca un mix coordinato come un senso grandioso di importanza, credere di essere speciali, e dunque di poter essere capiti solo da persone (o istituzioni) altrettanto speciali; avere la sensazione che tutto ci sia dovuto, esibire comportamenti arroganti. Più in generale manifestare incapacità di controllare gli impulsi. Ogni volta che si passa all’agito (violento), si è incapaci di dare parola a un’emozione, e costruire simboli, dunque cultura. Si passa all’atto con la negazione anche semantica del concetto di “parlamento”. Questa dimensione colpisce i giovani parlamentari che, in gran parte, s’erano proposti come il nuovo”.

Temo che i colpevoli di tutto questo siamo ancora noi della vecchia generazione, noi che abbiamo educato al narcisismo i nostri figli, all’espressione del sé a qualsiasi costo, alla convinzione di avere diritto a tutto, al culto della propria persona in spregio al resto del mondo, e fondamentalmente ne abbiamo fatto degli esseri sì spavaldi, come dice lo psicoanalista Gustavo Pietropolli Charmet, ma fragili perché esposti alla continua delusione fra aspettative e realtà, che può trasformarsi in rabbia e violenza e nell’incapacità di incanalare e controllare i propri impulsi peggiori. Questo per Pietropolli è il ritratto dell’adolescente di oggi, e io dico che è anche quello di molti giovani uomini e donne che hanno difficoltà ad uscire da questa condizione anche quando l’età non sarebbe più quella. Tutto questo è diventato un problema politico nel nostro paese e mi chiedo se non rischi di travolgere le istituzioni. Mi auguro che ad un certo punto l’adolescenza finisca e ci si avvii, anche nel movimento di Grillo, verso la maturità, ma forse per far questo anche il leader dovrebbe essere diverso.

Clave, parole e…narcisismoultima modifica: 2014-02-02T12:03:32+01:00da nadia2012a
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