Non solo pandemia

Negli ultimi secoli l’Uomo si è affrancato sempre più dalla Natura, progredendo enormemente in tutte le scienze e nella tecnica, anche se non tutti i popoli hanno usufruito di questo al medesimo modo.  L’umanità si è distanziata sempre più dal mondo naturale, nella convinzione di poterlo sottomettere e utilizzare all’infinto e a suo piacimento; si è dimenticata di essere un elemento del pianeta e non il suo assoluto padrone. Oggi è chiaro che le cose non stanno in questo modo: le pandemie sono tornate a spaventarci e, inoltre, la Terra è in pericolo a causa nostra ed è minacciata la nostra stessa specie.
Non passa giorno che non  ci siano notizie che dovrebbero farci precipitare nell’angoscia e sentire l’emergenza di provvedimenti drastici per evitare che i cambiamenti climatici si evolvano tanto tragicamente da rendere, se non impossibile, perlomeno molto difficile la vita sul pianeta. Scioglimento dei poli e del permafrost, emissioni di metano, incendi apocalittici, distruzione dei polmoni verdi del pianeta, isole di plastica negli oceani grandi come Stati, perdita della biodiversità, estinzioni sempre più accelerate: queste cose dovrebbero non farci dormire la notte, se non altro per le nuove generazioni.
E invece? Alcuni non si preoccupano neppure del coronavirus per ignoranza o ideologie fuorvianti; altri cercano di minimizzare perché ritengono che mandare avanti gli affari sia più importante della vita di migliaia di persone, molte delle quali anziane. Non ho scritto “neppure” per affermare che il virus sia peggiore delle cose elencate in precedenza, anzi lo considero il male minore anche perché si tratta di qualcosa di transitorio. Ciò che mi preoccupa è che la pandemia “si vede” mentre il declino del pianeta è meno evidente agli occhi umani non ben informati e capaci di lungimiranza; eppure neppure ciò che tutti possono “vedere” in molti suscita una forte reazione.
La pandemia potrebbe essere interpretata come un primo segnale, perfino blando rispetto a ciò che potrebbe accadere in futuro, che siamo in pericolo: un virus, che prima era confinato nelle foreste, fa il salto di specie perché quelle stesse foreste rischiano di non esserci più e la vicinanza degli esseri umani, invasiva, è ormai troppa. Un segnale, dunque, che così non si può continuare.
C’è la corsa al vaccino; si spera che a breve tutto torni come prima; qualcuno inventa complotti… Figuriamoci se c’è coscienza dell’altro pericolo, quello più grande: che gran parte del pianeta diventi inabitabile fra soli cinquant’anni!
E se il pensiero sfiora qualcuno? La reazione spesso è: “Non toccherà a me o sarò già molto vecchio”. Non a caso chi si preoccupa di più sono i giovanissimi, adolescenti e bambini: per loro il futuro comincia a mancare. Ma i governi? Le autorità? Anche loro vivono alla giornata come la maggior parte degli adulti che talvolta sono anche padri e madri o progettano di avere dei figli? Tutti a ballare sul Titanic!?
Il fatto è che la mente umana molto spesso si crea una sua realtà e vi si aggrappa, ha fede cieca in essa perché è piacevole e rassicurante: la realtà a cui si crede oggi è che comunque le cose andranno avanti, tutto continuerà come è sempre stato nella storia, fra alti e bassi, ma continuerà, e la scienza riuscirà  sempre a risolvere i problemi che via via si presentano. Non si crede cioè che possa esserci un punto di non ritorno, un capolinea, un limite invalicabile che smonta ogni costruzione umana e sconvolge uomini, animali e piante, la vita stessa. Questo avverrà se il cambiamento climatico non verrà arrestato, ma farlo implica un mutamento globale tanto imponente e immediato che è ben difficile che si realizzi senza una drastica presa di coscienza del problema, che non sia solo superficiale e a cui conseguano azioni draconiane che mettano in discussione tutto: la visione antropologica del rapporto fra l’Uomo  e la Natura e di quello fra gli umani stessi, il senso della vita, il sistema economico, le tecnologie e i materiali usati, i rapporti diseguali e conflittuali fra poteri e popoli, fino alle più piccole abitudini quotidiane.
Bruno Arpaia ha scritto un romanzo ambientato in Europa nel 2070 supponendo, su basi scientifiche, un aumento della temperatura ben al di là dei due gradi di cui si parla oggi: nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo la vita è ormai impossibile, né è più gestibile la situazione da alcun governo; profughi affamati e disperati tentano di andare a nord, i più morendo nel percorso, dove il clima è più mite e esiste ancora una qualche forma di civiltà e di Stato.
Non a caso, l’autore, ha messo come titolo alla sua opera: “Qualcosa, là fuori”, volendo dire che al di là delle costruzioni mentali umane che rappresentano la realtà e il corso degli eventi secondo certi schemi spesso non veritieri, qualcosa c’è oltre la nostra mente, il mondo c’è e segue le sue leggi spesso tanto diverse dai nostri desideri, e con questo “qualcosa” dovremo fare i conti, perché sta cambiando velocemente, troppo velocemente.
Dal libro di Bruno Arpaia “Accadde molto in fretta. Quasi di colpo. Leila e Livio ebbero l’impressione che tutto stesse andando a rotoli, che i passi indietro che l’umanità stava compiendo sotto i loro occhi potessero da un giorno all’altro diventare irreversibili. Fino ad allora era stata una sensazione vaga, una confusa preoccupazione relegata piuttosto fra le eventualità improbabili, ma all’improvviso divenne consapevole e meditata, tangibile e sempre presente.

Non solo pandemiaultima modifica: 2020-07-27T17:25:52+02:00da nadia2012a
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