Le origini del male

Mi ha colpito in questi giorni un piccolo libro intitolato “Il nostro male viene da più lontano” del filosofo e scrittore francese Alain Badiou. Si tratta della trascrizione di un seminario avvenuto il 23 novembre 2015 al teatro comunale di Aubervilliers.

Nella sua conferenza Alain Badiou si è interrogato con lucidità sulla situazione mondiale attuale e sul terrorismo, procedendo ad evidenziarne le cause e a delinearne una possibile, seppur quanto mai difficile, via d’uscita. Ho trovato il suo ragionamento storicamente, socialmente e psicologicamente fondato e provo di seguito a sintetizzarlo.

Il dramma atroce del terrorismo porta a tre rischi dettati dall’emotività che ne consegue e dalla umana paura: accettare ogni restringimento delle libertà e dei diritti da parte dello Stato tradendo ciò che di positivo ha, o dovrebbe avere, l’Occidente; lasciar campo libero alle pulsioni identitarie identificando il diverso sempre più come il nemico, dimenticando che lo stesso tipo di omicidi di massa avvengono ogni giorno in Medioriente, Asia e Africa (cioè disconoscendo che si tratta di crimini contro l’umanità intera); reagire facendo esattamente quello che si augurano gli assassini: fomentare una guerra di civiltà.

Occorre comprendere profondamente ciò che sta accadendo: il terrorismo è una malattia del mondo che va indagata per coglierne le cause e la possibile cura. Alain Badiou tratta l’importante e complesso fenomeno in sette parti che comprendono: la struttura del mondo attuale, i suoi effetti sui popoli, le reazioni di alcuni gruppi di persone che lui chiama “soggettività singolari e tipiche dell’epoca”, le attuali nuove forme di fascismo, come e perché alcuni giovani diventano dei crudelissimi assassini e suicidi, come la Francia in particolare stia mobilitando l’opinione pubblica intorno alla parola “guerra” e infine cosa si può fare per sperare di cambiare le cose.

Dagli anni Ottanta il capitalismo si è rigenerato attraverso la globalizzazione neoliberista mostrando di non avere né rivali né ostacoli sul suo cammino. Gli Stati stessi hanno sempre meno potere perché le vere decisioni sono prese altrove, a livello transnazionale, e a prenderle di fatto sono le concentrazioni industriali e bancarie, alcune delle quali sono più potenti economicamente dei singoli Paesi e mal digeriscono qualsiasi limite si tenti loro di imporre. La loro parola d’ordine è “privatizzazione”. “E’ in corso una vittoria, vasta e ramificata, delle ditte transnazionali sulla sovranità degli Stati” afferma l’autore. Il fallimento del comunismo (la stessa parola è stata criminalizzata) e la fine delle ideologie degli anni Sessanta e Settanta hanno provocato una mancanza di alternative.

L’imperialismo attuale non si basa più sul dominio coloniale dello Stato-nazione, ma sul dominio economico delle grandi imprese che predano materie prime e sfruttano il lavoro dei più poveri con qualche complicità locale. Gli apparati statali in questo contesto hanno il compito di proteggere le aziende che operano nei vari territori in base agli interessi nazionali, con qualsiasi mezzo, anche l’intervento militare ( in Mali, per esempio, la Francia interviene perché protegge i propri interessi, non per aiutare la popolazione, e così via).

Quello che sta avvenendo in questi ultimi decenni è che alcune zone del mondo sono lasciate in una situazione di anarchia e conflitto fra bande, senza un governo forte e unitario; spesso ad aver provocato questa situazione sono stati gli stessi interventi militari delle potenze occidentali finalizzati ufficialmente ad eliminare feroci dittatori e a portare libertà e democrazia.

Alain Badiou s’interroga molto su questo punto dando una sua logica spiegazione: secondo lui la creazione di zone ingovernabili e non statalizzate conviene a chi compra materie prime, a chi fa affari illeciti di tutti i tipi. Per questo tipo di fenomeno l’autore usa la parola “zonizzazione”, con la quale vuole dire che si distruggono gli Stati, piuttosto che tentare di corromperli o riorganizzarli, per avere mano libera trattando con le varie bande criminali di turno e intervenendo militarmente contro quelle che creano troppi problemi. Daesh, dice Alain Badiou, è ormai una potenza commerciale che vende a tutti: petrolio, opere d’arte, armi e cotone; probabilmente per questo si tarda a distruggerla.

Le conseguenze di questo sistema economico globalizzato e imperialista sono evidenti a tutti. Basta guardare i dati statistici: il 10 % della popolazione mondiale possiede l’86 % delle ricchezze planetarie disponibili; il 50 % non possiede nulla; rimane un 40 %, che è la classe media del pianeta, che si spartisce però solo il 14 % delle ricchezze. Questa classe media abita nei paesi occidentali, teme il suo impoverimento di fronte al fenomeno della globalizzazione e dell’arrivo dei più miseri, è convinta di rappresentare la civiltà contro la barbarie e perciò tende a diventare razzista e a disconoscere due miliardi di popolazione mondiale che non contano più nulla perché non possono essere annoverati né fra chi lavora né fra chi consuma. Gran parte di quest’ultimi vivono ormai in campi profughi o comunque al margine di un mondo che pratica nei loro confronti una totale esclusione. Il capitalismo, giunto alla sua massima espansione, non può valorizzare questa potenziale forza lavoro perché per farlo dovrebbe ridurre le ore lavorative per tutti e questo non rappresenterebbe un profitto.

La “zonizzazione” vede operare bande politico-militari, che l’autore definisce “fascistizzanti”, con coloriture religiose come copertura retorica. Badiou ricorda fenomeni di questo tipo anche all’interno del mondo cattolico: la coloritura religiosa era tipica, per esempio, del franchismo ed è presente nei rituali mafiosi. Si sofferma poi ad analizzare le figure psichiche, che lui chiama “soggettività”, prodotte da questo tipo di società mondiale: quella occidentale, quella del desiderio di Occidente e quella “nichilista”.

La prima è incarnata dalla classe media, che si spartisce il 14% delle ricchezze lasciate indietro dall’oligarchia che impera nel mondo, e si caratterizza per una fondamentale contraddizione: è contenta di sé e arrogante ma ha paura di perdere quel poco che ha, ha paura dei diseredati e bisognosi che bussano alla porta dell’Occidente e questa paura viene utilizzata da alcuni gruppi politici per carpirne il consenso. Ci sono poi coloro che assistono allo spettacolo dell’abbondanza, ma ne sono esclusi, vivendo un’enorme frustrazione e ribellione; costoro  cercano in tutti i modi di approdare a quest’altro mondo che non li vuole e di imitarne i modelli. Infine c’è l’ultima categoria esaminata, quella dei “nichilisti”: sono coloro che hanno sostituito al desiderio di Occidente, che rimane comunque nel loro inconscio, il desiderio di distruzione di tutto ciò che è occidentale, scatenando un’inaudita violenza contro l’identificato nemico,  contro chiunque non sia d’accordo con loro e contro loro stessi, ammantati di tradizione religiosa male interpretata e di un eroismo tragico che è un vera e propria pulsione di morte.

Il giovane nichilista da un lato odia l’Occidente e dall’altro, entrando a far parte di bande organizzate in forme simili alla mafia, è allettato dal soddisfacimento di alcuni desideri immediati: denaro, donne, simboli di potenza. Vi è poi l’idea della religione che gli dà un’identità sicura e procura una copertura ”morale” alle sue azioni criminali. Chi poi si suicida per la causa (e questa è una mia riflessione) nella sua follia forse vuole essere ricordato, rimanere nella storia come qualcuno e non trascorrere una vita senza essere nessuno, oltre alla convinzione inculcata di essere premiato nell’aldilà.

Guardando in particolare alla Francia, Alain Badiou parla della frustrazione della seconda generazione di immigrati. I padri erano stati richiesti come forza lavoro e si sono integrati come tali nella nazione, mentre oggi i figli non servono più perché nel frattempo le imprese sono andate altrove a sfruttare manodopera più disperata e perciò più a basso costo. Questi ragazzi si sentono privi di futuro.

Nell’ultima parte del libro e del seminario, l’autore tenta di fare proposte che possano far cambiare la situazione. C’è la necessità urgente di costruire un pensiero diverso, un’alternativa a  livello internazionale credibile, che faccia uscire il mondo dalla contraddizione capitalismo globalizzato e distruzione nichilista. Questo male, secondo l’autore, deriva dalla mancanza di una prospettiva di mutamento, di emancipazione, di giustizia per tutti come conseguenza del fallimento del comunismo; si è creata la convinzione che non ci sono altre possibilità oltre a questo sistema oligarchico profondamente disuguale, che non ci sono alternative ad essere un lavoratore dipendente/consumatore o un reietto che conta zero, invece che un cittadino del mondo, libero di pensare e agire e fruitore di diritti inalienabili.

I ragazzi di oggi sono appositamente disorientati, ed è con loro che occorre ricominciare a parlare. Devono farlo gli intellettuali, soprattutto verso i giovani proletari di tutti i continenti che potremmo definire nomadi in cerca di un posto nel mondo e di un mondo migliore. Soprattutto bisogna cominciare da quei giovani che né vogliono lodare l’Occidente né diventare dei nichilisti omicidi.

 

Le origini del maleultima modifica: 2016-08-05T20:48:48+02:00da nadia2012a
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