“La donna elettrica” film di Benedikt Erlingsson

L’Islanda: la terra vergine fra le ultime. La terra bambina, com’era alle origini: ghiaccio e fuoco, pascoli e deserti, mare e montagne quasi inabitate e bellezza infinita.

Nel film “La donna elettrica”, l’isola diventa simbolo dell’intero pianeta minacciato dalla follia umana, che non permette di vedere l’impossibilità dello sviluppo illimitato e la pericolosità dello sfruttamento incondizionato delle risorse da parte delle multinazionali che, di fatto, hanno ormai reso un guscio vuoto la stessa democrazia.

Una donna energica vi si contrappone, interrompendo più volte le linee elettriche con uno strumento semplice e antico, l’arco, e facendo poi saltare un pilone dell’alta tensione, dribblando le forze dell’ordine che spesso finiscono per prendersela con uno straniero di passaggio, simbolo forse del capro espiatorio di cui oggi si fa largo e propagandistico uso.

La protagonista dichiara poi pubblicamente le ragioni dei suoi gesti, nella speranza di contrastare l’indifferenza e dare informazioni che possano far nascere un movimento di resistenza fra i suoi concittadini e, forse un po’ ingenuamente, nel mondo intero.

La deflagrante dichiarazione viene subito sabotata dal potere politico ed economico con una raffinata strategia di persuasione e mistificazione, decisa proprio nel luogo più simbolico dell’Islanda: là dove si incontrano le zolle tettoniche di due continenti, dove passa una delle faglie più importanti del pianeta, e dove un tempo si riunivano i capi tribù per prendere all’unisono le decisioni più importanti.

La strategia fa leva su presunti pericoli per la democrazia, sulla condanna della violenza, sulle politiche ecologiste del governo e sul ricatto della disoccupazione. Intanto le grandi aziende occupano sempre più spazi in uno degli ultimi luoghi incontaminati del pianeta.

Per la “donna elettrica” la Terra è Madre che nutre e protegge e ha bisogno di essere curata e salvata a tutti i costi, perché è la vita stessa; solo così potranno sopravvivere le nuove generazioni il cui futuro è messo in pericolo dagli effetti catastrofici dei cambiamenti climatici. Il rapporto di attenzione e protezione che la protagonista ha con la Natura è anche lo stesso che realizza nei confronti del prossimo e il fondamento è sempre il medesimo: l’amore. Si potrebbe parlare della proposta di una spiritualità, tutta al femminile, della Madre Terra, che può ritrovare oggi la sua ragione d’essere, considerando l’attualità delle problematiche trattate.

La protagonista è però lacerata dal desiderio di continuare la sua lotta, pagandone tutte le conseguenze, e quello di vivere la sua maternità adottando una bambina che vive in Ucraina, terra sconvolta da guerre e dall’immane catastrofe che si chiama Cernobil.

L’adozione le viene proposta nel momento meno adatto; infatti la donna viene arrestata e cade nella disperazione pensando alla bimba che l’aspetta. Altre persone però intervengono: un pastore, presunto cugino, si sostituisce a lei nelle azioni di sabotaggio; la sorella gemella, che percorre un sentiero di tipo interiore e mistico, si scambia con lei in carcere, per permetterle di recarsi in Ucraina a prendere la bambina rimasta sola al mondo.

Le due donne sembrano rappresentare istanze diverse dell’essere umano, che però si completano l’una con l’altra: la spinta verso l’esterno, l’azione politica e sociale, e quella verso l’interno, la meditazione e il ritiro dal mondo. Gandhi e Nelson Mandela, raffigurati nelle foto appese nella casa della protagonista, le hanno fatte proprie entrambe, hanno realizzato questi due aspetti, indispensabili a chi vuole tentare di rendere migliore il mondo.

Durante tutto il film, si manifestano delle presenze surreali: un trio musicale e tre donne che cantano indossando costumi tradizionali ucraini. Oltre al richiamo probabile alla religiosità primitiva islandese, ricca di esseri magici, queste presenze paiono rappresentare le somiglianze fra le antiche culture dei diversi paesi e mostrano, esternalizzandoli con i loro silenzi e i loro suoni, le emozioni che la protagonista vive. Talvolta il ritmo della musica diventa particolarmente incalzante per sottolineare la tensione, ma anche per ritmare il flusso del tempo  ed evidenziare l’urgenza di agire ora.

La scena finale è quanto mai simbolica: un autobus in Ucraina non può più procedere a causa di un’alluvione e le persone sono costrette a continuare a piedi nell’acqua che diventa via via più profonda. La terra asciutta è lontana, ma possono ancora arrivarci e portare in salvo pochi oggetti e la cosa più preziosa di tutte: i loro figli.

 

“La donna elettrica” film di Benedikt Erlingssonultima modifica: 2019-01-21T17:51:44+01:00da nadia2012a
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