Danzando sul Titanic

Molti di noi stanno su questo pianeta con la stessa incoscienza con cui i viaggiatori del Titanic conducevano le loro ultime ore di baldorie. Ci sono poche parole per descrivere quello che sta succedendo: è l’inizio dell’Apocalisse. Incendi inarrestabili in Siberia, ghiacci che si spaccano, ondate di calore, deserti che avanzano, mari di plastica, animali morenti sulla terra e nelle acque. Questa è la realtà e forse è già troppo tardi per rimediare o forse non si vogliono trovare soluzioni per ridurre la catastrofe perché significa cambiare stili di vita, tecnologie, logiche politiche e sociali, parametri di priorità, valori, considerarci un’unica nazione mondiale e un unico popolo di fronte ad un comune pericolo mortale.

Nelle società opulente si vive nel presente, ma non per essere, come i grandi maestri spirituali di tutte le tradizioni religiose insegnano, più consapevoli di sé e della meraviglia misteriosa che ci circonda, ma solo per consumare piaceri immediati ed effimeri. Nei tanti luoghi del globo, dove invece si soffre ogni privazione e disumanità, non c’è che il tempo di tentare la salvezza individuale e della propria famiglia attraverso qualsiasi cosa che possa dare speranza, anche una piccola speranza, talvolta a costo di rischiare la vita nei mari e nei deserti o per mano dei propri simili. Tra questi ci sono i “sommersi e i salvati”.

Tra i privilegiati per paese di nascita, molti non vogliono ‘salvati’, erigono muri, barriere di indifferenza ed egoismo, preferiscono che gli ultimi muoiano in mare, si parano dietro discorsi nazionalisti quanto mai anacronistici, provano e diffondono sentimenti razzisti come se il nemico fosse quello che ha un colore della pelle diverso o una cultura differente, mentre il nemico vero è ciò che abbiamo fatto al pianeta, (i ricchi più degli altri) e che oggi ci si rivolta contro.

Quelli più incoscienti dei paesi ricchi forse si illudono che lasciando morire i ‘meno fortunati’, o meglio  i più oppressi dal sistema economico che abbiamo creato, per loro possa esserci qualcosa da sfruttare ancora, ma non credano che sarà per molto tempo: in natura non ci sono ‘pasti gratis’ per sempre e chi soccombe cerca giustamente di ribellarsi, e anche di vendicarsi, soprattutto se non ha più nulla da perdere.

La salvezza del pianeta e dell’umanità, o anche solo della civiltà come noi la conosciamo, passa forzatamente attraverso un profondo cambiamento di paradigma economico, politico, sociale. Fino ad ora abbiamo depredato ogni ricchezza della Terra e dei popoli più fragili in nome del Dio denaro; ora i paesi ricchi e le loro multinazionali cercano di far pagare il prezzo della distruzione degli ecosistemi a questi stessi popoli, convinti che il capitalismo e i grandi capitalisti vinceranno su tutto e tutti, non importa se a costo di una società disumanizzata, totalitaria e schiacciando letteralmente, o lasciando al loro destino, milioni di esseri umani che hanno la sola colpa di essere nati nella parte ‘sbagliata’ o di appartenere ai ceti più indifesi.

Quello che i poteri economici forse non hanno così chiaro è che saranno travolti anche loro. Che non ci può essere sviluppo illimitato, alcuni l’avevano compreso già negli anni ’70; che la rabbia degli oppressi prima o poi esplode, qualcuno l’aveva scritto anche un secolo prima. A guardare ancora più lontano, la civiltà romana, che sembrava imperitura, fu sconvolta da coloro che erano ai confini, quando smise di integrarli.

La salvezza del pianeta e della civiltà vanno di pari passo con la salvaguardia delle risorse e con la loro equa distribuzione; non può esserci il 7% della popolazione mondiale che detiene e consuma, distruggendo la vita sulla terra e nei mari,  quello che deve dividersi il 93% della popolazione mondiale.

Il capitalismo è un sistema di produzione come altri ce ne sono stati nella storia, forse più capace di modificare se stesso, ma come gli altri subisce le sue contraddizioni e perciò finirà. La contraddizione principale è che non è compatibile con il proseguo della vita in un sistema limitato come quello terrestre. Questo è un principio molto semplice eppure così difficile da interiorizzare. L’altra contraddizione di fondo è che il capitalismo ha bisogno di mercati sempre più grandi, ma le disuguaglianze che crea tendono a far affiorare divisioni, confini, paure, barriere, conflitti che portano a nuove chiusure, quando non a guerre vere e proprie che ancor di più incidono sulla distruzione dell’ambiente.

Mi chiedo come pensano, se pensano, coloro che appartengono alla categoria dei potenti di uscire da queste situazioni? Forse si illudono di poter annientare gran parte della vita animale e vegetale sul pianeta e di buona parte della popolazione e sopravvivere loro e i loro figli in una società forzatamente militarizzata? Di creare un mondo totalmente artificiale per pochi privilegiati? Se lo credono, si raccontano solo una bella fiaba. O forse guardano solo, anch’essi, ad un orizzonte temporale ristretto a pochi decenni o ancor meno, senza dare alcuna speranza e prospettiva alle nuove generazioni, ai loro stessi figli?

Sono proprio le nuove generazioni che iniziano a preoccuparsi sentendosi defraudate del futuro e soprattutto di un futuro di sicurezza e pace: sicurezza ambientale, lavorativa, sanitaria, sicurezza di poter vivere e non solo, di poter sviluppare e manifestare le proprie capacità, inclinazioni, di poter crescere nella partecipazione, di poter vivere in un sistema aperto, democratico.

Nessuno sa cosa succederà, e anche se tutti gli studi e tutte le statistiche segnalano che siamo vicinissimi ad un punto di non ritorno, lo spirito dell’Uomo potrebbe ancora riuscire a modificare le cose, la Storia potrebbe ancora presentare l’inedito, seppur attraverso un periodo di caos che ci spaventerà terribilmente. Chissà che non sarà proprio la paura a farci fare, come Umanità, un salto di paradigma che oggi sembra ancora impossibile. Questa deve però essere la paura del saggio che cerca soluzioni inclusive, non l’angoscia paralizzante che porta al nichilismo o all’affidarsi ad un capo indiscusso e autoritario come durante i periodi peggiori del secolo scorso. In questo modo perderemmo del tutto ogni senso di umanità  insieme alla libertà e a tutti quei valori, di cui faticosamente ci siamo appropriati, che riconoscono che i diritti sono tali solo se appartengono ad ogni uomo che compare su questa Terra e che siamo tutti fratelli. Siamo anche fratelli di qualsiasi forma di vita che è sorta su questo nostro meraviglioso pianeta che gli astronauti osservano navigare nel buio mare dell’infinito cosmo, illuminato di azzurro.

 

Danzando sul Titanicultima modifica: 2019-08-12T18:24:46+02:00da nadia2012a
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